I fiori del Kilimanjaro - by Ada Nardin

Eccomi di nuovo a scrivere di cooperazione allo sviluppo per raccontarvi la mia ultima esperienza, l’ottava in 6 anni, da quando ho sentito che potevo e volevo intraprendere un sentiero ancora ignoto, forse in salita, ma che avrebbe colmato il bisogno di dare cittadinanza al mio spirito di servizio.

Gli stessi fiori della crescita piantati e sbocciati prima in mali e poi in Repubblica democratica del Congo, sono stati seminati in terra tanzaniana, precisamente nelle scuole secondarie integrate di Moshi e Longito, due vivaci città non lontane dalla grande montagna d’Africa.
Vi narrerò dei numerosi petali multicolore corrispondenti ai laboratori attivati da noi formatori, e dei gratificanti risultati raccolti con la soddisfazione e l’ambizione insita in coloro che desiderano che il proprio lavoro possa fare la differenza.

In questa occasione sono partita per la Tanzania a seguito dell’associazione mama Africa la quale ha scelto di avvalersi dell’esperienza maturata sul campo da me e dall’Ing informatico Michelangelo Rodriguez nel delicato compito di formare i formatori, e che ha finanziato il progetto in partnership con la Chiesa Valdese, confessione religiosa che devolve l’8x1000 ai progetti umanitari.

Gli obiettivi da raggiungere nelle diverse realtà scolastiche che ci accolgono sono pressappoco i medesimi; tuttavia, risulta evidente che essi possano differire a seconda di alcune variabili quali:
il livello di sviluppo umano e di scolarizzazione dello Stato in cui operiamo, le condizioni socio-ambientali che incontriamo, le differenti esigenze dei docenti a cui rivolgiamo i nostri insegnamenti anche in funzione del tipo o grado di scuola in cui lavorano, la libertà di intervento che ci viene concessa dalle locali autorità scolastiche.

In questa occasione il contesto è stato particolarmente favorevole e le condizioni stimolanti; infatti abbiamo avuto il privilegio di interagire con un corpo insegnanti fervido di idee, dotato di grande volontà, ricettivo al nuovo, assetato di conoscenza, ricco di curiosità ed aspettative, ed in possesso di un buon livello di istruzione.

I partecipanti sono stati scelti fra i docenti delle materie scientifiche di due istituti secondari integrati fra ciechi e vedenti ed il corso ha avuto una durata di 120 ore complessive svolte da me e l’Ing. Rodriguez.
I workshop che abbiamo concordato di attivare sono stati seguiti con autentico interesse e con concreta e fattiva partecipazione.
I laboratori previsti dal progetto erano i seguenti:

1) tiflodidattica- finalizzato alla presentazione del materiale consegnato, quello prodotto dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi, e, soprattutto, all’apprendimento del corretto utilizzo degli indispensabili e versatili strumenti tiflologici che consentono agli insegnanti di realizzare autonomamente tavole o schemi di ogni genere afferenti alle rispettive materie di pertinenza;

2) tifloinformatica- destinato all’insegnamento dei docenti di informatica sull’utilizzo delle tecnologie assistive onde poterne spiegare l’uso agli allievi privi della vista, ed introdurli all’impiego di scanner e software o.c.r. per poter trasformare un testo stampato in testo elettronico al fine di fruirne tramite un pc o poterlo stampare a caratteri Braille ed ingranditi;

3) mobilità autonoma- diretto, dopo la distribuzione di un discreto numero di bastoni bianchi lunghi, alla preparazione di figure professionali in grado di trasferire le più comuni tecniche di protezione, orientamento e mobilità che consentono ai ciechi ed agli ipovedenti, al termine di un opportuno addestramento, di spostarsi con cognizione di causa ed in piena sicurezza;

4) sport- indirizzato a favorire e promuovere fra i privi della vista un miglior grado di mobilità e agilità, e ribadire i ben noti benefici che l’attività fisica comporta;

5) firma in nero- rivolto al perseguimento del nobile obiettivo di illustrare ai futuri riabilitatori le tecniche per consentire ai ciechi di firmare per esteso permettendo loro di conquistare la propria dignità formale.

Anche questa volta le soddisfazioni non sono mancate; gli obiettivi sono stati centrati e la frequenza ai workshop è stata così partecipata e collaborativa che i corsisti hanno immediatamente iniziato a porsi interrogativi e darsi risposte, a comprendere come utilizzare le proprie e le altrui risorse, ad intravedere le prime difficoltà e chiedere consiglio su come risolverle, a disegnare nuove frontiere da raggiungere, ad ipotizzare eventuali ostacoli da infrangere, ad immaginare sfide da intraprendere, ad avanzare proposte da realizzare a breve, medio e lungo termine, ed a programmare interventi per mettere a frutto gli insegnamenti da noi proposti, dimostrando, così, di aver preso coscienza del ruolo fondamentale che giocheranno per i ciechi ed ipovedenti Tanzaniani grazie alle competenze appena acquisite.

Un vero e proprio passaggio delle consegne fra noi e loro, fra formatori e formatori, fra persone unite dalla stessa voglia di imparare, insegnare, comunicare, crescere.
L’occasione per noi cooperanti è stata duplice: per prima cosa abbiamo potuto misurarci con differenti tipologie di risposta alle nostre sollecitazioni potendo, in tal modo, arricchire la nostra esperienza umana e formativa; in secondo luogo, siamo entrati in contatto con una multiforme e pacifica popolazione composta da circa 120 gruppi tribali, fra cui i celebri e fieri maasai, ed effettuato un’impegnativa escursione alla grande Montagna, il Kilimanjaro, dalle cui altezze ho goduto a mio modo di un esaltante panorama e contemplato i nostri fiori appena piantati e già cresciuti con forza e consapevolezza.

Ada Nardin.